art-12-image

 

La stagione  musicale italiana 2016 sarà ricordata come l’anno in cui il baricentro del mondo alternative si è spostato verso il pop, azione ufficializzata con l’entrata di Manuel Agnelli (Re degli Alternative) nel cast di XFactor (Regno del Pop).
Molto ‘alternative’ però ne è stato l’utilizzo: il pop non è esercitato come linguaggio ma essenzialmente come strumento per far sì che il messaggio arrivi a più persone possibili.
Pur essendo la patria della canzone leggera e melodica, l’Italia musicale ha sempre avuto molti problemi con la parola pop, anche le grandi star hanno sempre cercato di evitare di essere catalogate dal genere bifrontale, come un marchio a fuoco da temere.
Questo ha confuso per decenni il pubblico meno attento, facendo pensare loro che la Nannini fosse rock, e quindi ‘giusta’ (nel caso della cantante senese c’è un appunto: la sua vita è rock, è vero, ma la proprietà transitiva non coinvolge la sua musica. Dire che la ‘Nannini fa rock’ è un utilizzo abusivo della retorica).
Nel frattempo le distanze si sono accorciate, i mega in trasmissione sono aumentati, e si è assistito all’hipsterizzazione dello stile che abbreviava ancora di più la durata delle tendenze: il new rave va di moda? Allora lo schifo. La dubstep va di moda? Allora la schifo. Hipsteria, che nel vortice tipico del far scendere dal carro dei vincitori le persone, ha fatto diventare il pop qualcosa di misterioso: non compreso dal mainstream e odiato dal mondo indie, è diventando di fatto il genere ideale della scena underground.
Oltre agli aspetti di natura artistica, il pop versione 2016 ha dalla sua anche una caratteristica sociale non indifferente: l’aggregazione. Per anni ognuno di noi ha ascoltato artisti differenti, hipsterizzando (appunto) le proprie playlist, facendoci guidare da algoritmi matematici che pescano da archivi carichi di 30, 40, 50 milioni di brani; di fatto isolandoci sempre di più in un mondo riparato da cuffie, smartphone e giga disponibili.
L’ultimo aspetto è quello puramente di mercato: pensate a tutti i musicisti della scena indie con una chitarra a tracolla e un pedale crunch nello zaino, che si sono ritrovati i rapper in classifica, i rapper in televisione, i rapper in radio, i rapper sui quotidiani e nei magazine, prendendo di fatto il loro posto, o almeno quello che pensavano (speravano) diventasse loro per usucapione. Ma il pubblico non vuole più lo strano, il pesante o il poeta; anche l’appassionato di musica che rifugge la radio o la TV di Calimero Conti, vuole un’arte che collimi con l’oggi, dove il ‘normale’ è il nuovo ‘alternative’.
E’ per questo che Edoardo D’Erme, al momento del secondo album di Calcutta, ha voluto abbandonare le nebbie psichedeliche di “Forse…”, togliere le intro anacronistiche per parlarci francamente, senza “quella merda detta poesia” (uso la gamba tesa di Carmelo Bene): Gaetano mi ha detto che viviamo nel ghetto, ma nel mentre penso che se dormissi disteso sul tuo lato del letto io, forse, sarei te.
Non tanto nel valore in se del testo, quanto la scelta di aprire un album direttamente con questa sequenza; album che è stato immediatamente ‘hipsterizzato’ dalla sua fan base più radicale.
E’ per questo che Luca Carboni ha voluto un brano di Tommaso Paradiso.
E’ per questo che Marco Jacopo Bianchi ha voluto svegliarsi, togliere dream dal pop dei Drink To Me e perdersi nel Cosmo di una musica in italiano, più accessibile.
Ed è per questo che Motta è arrivato a “La Fine dei Vent’Anni” dopo un percorso di ribellione adolescenziale con i Criminal Jokers (‘This Was Supposed To Be The Future’ – 2010 e il più maturo ‘Bestie’ – 2012 ), ma soprattutto dopo l’incontro con il Re incontrastato del pop profondo ma leggero: Riccardo Sinigallia.
Senza dimenticare che questa nuova interpretazione del linguaggio pop è arrivata anche al più mainstream dei rapper, Fedez, la cui musica sta passando da Hip Hop a Hip Pop, pratica conosciuta ai più con il nome di ‘jovanottizzazione’.
Ma se ci deve essere un artista e una data che cristallizzi il momento in cui il 2016 ha sancito la nascita dell’alt.pop italiano, possiamo identificarli ne I Cani il 30 gennaio AYT (Anno YouTube, in sostituzione dell’obsoleto Anno Domini), quando la voce di una pupilla illuminata da un neon proferisce la seguente dichiarazione: “Dovremmo monetizzare questo nostro grande amore” dove le parole non partecipano soltanto alle cadenze ritmiche ed armoniche, ma rappresentano allo stesso momento il codice del linguaggio e delle azioni con i quali gli essere umani contemporanei comunicano fra di loro, con l’aggiunta della poesia, con buona pace di Carmelo Bene.

 

Fabrizio Galassi