Le società di edizioni legate alle major – Universal Music Publishing, Warner/Chappell e Sony/ATV – che di fatto amministrano i cataloghi più importanti disponibili sulla piazza, dal 2008 a oggi non hanno ricevuto quote azionarie nell’ambito degli accordi di licenza discussi tra Spotify e le etichette ad esse collegate: in tutti e tre i casi, la società guidata da Daniel Ek ha offerto proprie obbligazioni a Universal Music Group, Warner Music Group e Sony Music, che si occupano della stampa e della promozione dei prodotti discografici, ma non alle società di edizione ad essere collegate.
Le tre major, negli anni, sono riuscite ad accumulare – insieme a Merlin, il network che dal 2008 consorzia le principali realtà indipendenti internazionali – circa il 18% del capitale di Spotify: capitale che, con la quotazione sul mercato della piattaforma svedese, i grandi gruppi discografici si stanno preparando a realizzare, per mezzo della vendita delle azioni ad essi intestati, per “dividere gli utili con gli artisti e le etichette consociate”, come dichiarato più volte dai dirigenti delle major. Di questa operazione, che complessivamente frutterà qualcosa come due miliardi e seicento milioni di dollari, beneficerà buona parte della filiera discografica tranne che gli autori, che di questa stessa filiera rappresentano – paradossalmente – le radici.

 

Per approfondire https://www.rockol.it/news-691850/streaming-musicale-soldi-tutti-ma-non-agli-autori-spotify