La musica, di solito, non rende ricco chi scommette in borsa. Il business, nonostante la sua aura glamour, è sprofondato in un burrone alcuni decenni fa, quando i download digitali e la pirateria hanno devastato le vendite dei CD e trasformato il mercato in una palude imprevedibile e poco redditizia. Da allora chi lavora a Wall Street ha sempre visto la musica come un settore da “maneggiare con cautela”.
J.P. Morgan ha inviato ai suoi clienti una nota su toni analoghi, dove Spotify è definito come “il motore di un mercato sottovalutato”. Doug Anmuth, un altro analista, ha sottolineato come l’azienda sia riuscita ad aumentare la sua pool di clienti del 38% ogni anno, tracciando un parallelo con quanto fatto da Netflix per i contenuti video. «Riteniamo che quello di Netflix sia il paragone più logico per Spotify, entrambi beneficiano dello storico passaggio allo streaming con subscription-based model».
Il paragone non è del tutto corretto. Indovinate quale delle due aziende continua a perdere denaro? Le entrate di Spotify crescono quanto le perdite, e sono in molti nell’industria a pensare che sia la versione free dell’applicazione a rallentare il percorso verso la redditività dell’azienda. Il primo report dell’azienda, pubblicato poche ore fa, conferma in parte le previsioni degli analisti. I guadagni ammontano a €1.14 miliardi, con una base di 170 milioni di utenti (di cui 75 milioni a pagamento). Le perdite, però, sono maggiori di quanto previsto da Wall Street, e nelle ore successivo all’annuncio le azioni sono crollate del 9%.